Proprio ieri un’amica mi ha raccontato di essere uscita a cena con alcuni conoscenti. Uno di questi, generalmente esuberante ed estroverso, per quasi tutta la serata è rimasto in silenzio, dicendo giusto qualche parola striminzita e sintetica quando necessario. Era un silenzio che faceva rumore, un silenzio che ha portato gli altri commensali a porsi delle domande: “sarà successo qualcosa?”, “starà bene?”, “avrà avuto una brutta giornata?”. La sua postura, la sua posizione rispetto alle altre persone sedute al tavolo, il suo modo di porsi e il suo tono di voce: tutto faceva pensare che ci fosse qualcosa di “non detto”.
“Sei sicuro di stare bene? Hai una faccia…”
“Perché stai urlando? Sei arrabbiata?”
“Il colloquio deve essere andato bene, guarda com’è sorridente!”
“Si è seduto di fianco al capo: ci sono dei cambiamenti in arrivo…”
Ad alcuni potrebbe tornare in mente il primo dei cinque assiomi della comunicazione esplicitati nel testo “Pragmatica della comunicazione umana” da P. Watzlawick, J. H. Beavin e D. D. Jackson, oggi però vorrei concentrarmi sul quarto assioma (a questi link puoi trovare approfondimenti sul primo https://www.cm-consulenza.com/blog/2020/07/24/cosa-ce-nel-tuo-zainetto/, sul secondo https://www.cm-consulenza.com/blog/2020/08/08/di-cosa-stiamo-parlando/, sul terzo https://www.cm-consulenza.com/blog/2020/09/11/qual-e-la-tua-punteggiatura/ e sul quinto https://www.cm-consulenza.com/blog/2020/10/28/mi-concedi-questo-ballo/).
Il quarto assioma della comunicazione ci dice che “La comunicazione umana è composta da codici analogici e digitali, corrispondendo i primi prevalentemente ad aspetti relazionali e i secondi ad aspetti di contenuto … L’uomo ha la necessità di cambiare di continuo i due moduli”.
La comunicazione analogica corrisponde a quella che comunemente viene definita “non verbale”: sguardi ed espressioni del viso, gesti, posizioni del corpo e posizioni nello spazio rispetto ad altre persone (descritti generalmente dalla prossemica, disciplina che studia lo spazio e le distanze come fatto comunicativo e i possibili significati), tono, timbro, ritmo e volume della voce. Questo tipo di comunicazione, nonostante si sia evoluto nel tempo, possiede caratteristiche primordiali e pre-verbali. Per questo motivo, da una parte è meno consapevole sia nella manifestazione che nella decodifica, dall’altro è quello su cui si fa più affidamento nella comprensione dei significati di una comunicazione, anche perché è più difficilmente manipolabile e controllabile. Attraverso questo tipo di linguaggio solitamente si scambiano informazioni relative ad emozioni, sensazioni, sentimenti e sulla relazione (come definita nel secondo assioma).
La comunicazione digitale, anche detta “numerica” o “verbale”, è caratterizzata dalla presenza di codici condivisi (le parole, la grammatica, la sintassi) utilizzati per indicare altro da sé. In quanto codici generati artificialmente non è presente un’analogia tra la parola e il suo significato a differenza di quanto avviene, invece, per il linguaggio non verbale. La parola “P-A-U-R-A”, ad esempio, e l’emozione della paura o la sua manifestazione non sono correlate attraverso un’analogia, ma attraverso un’associazione di significati che nasce dalla conoscenza del codice stesso. Questo è il motivo per il quale se il codice è condiviso dai due interlocutori la comunicazione può essere efficace, qualora non lo fosse tutto sarebbe molto più complicato. La comunicazione verbale è veloce ed immediata, maggiormente efficace per scambiare informazioni relative al contenuto della comunicazione. Attenzione ad un facile e comune fraintendimento: anche la comunicazione scritta fa parte del linguaggio verbale!
La maggior parte delle relazioni comunicative a cui prendiamo parte generalmente è composta da entrambi i tipi di linguaggio, e così, ogni essere umano possiede, o dovrebbe allenarsi a possedere e padroneggiare, la capacità di fluttuare in maniera consapevole da un linguaggio all’altro, sia nella codifica (quando è emittente della comunicazione) che nella decodifica (quando ne è destinatario).
Come di consueto, anche questo assioma possiede a mio avviso alcune interessanti implicazioni.
La prima implicazione è legata al fatto che il linguaggio non verbale è primordiale. Essendo ancestrale e appreso socialmente già dalla nascita ed in età infantile è spesso meno consapevole e meno controllabile. Proprio per questo motivo, di solito, è quello che viene maggiormente preso in considerazione quando il nostro interlocutore deve attribuire significato alle nostre comunicazioni e viceversa. Ad esempio, di fronte una persona che parlandoci tiene un ritmo sostenuto, un volume di voce alto e si muove freneticamente nello spazio, noi saremo più portati ad attribuire maggiore importanza a queste informazioni recepite che al contenuto stesso di ciò che ci sta comunicando. In questo caso, potremmo chiederci “che cosa vuole comunicarci l’altro?”, “a cosa dobbiamo dare maggiore importanza?”, “il suo non verbale è correlato alla comunicazione che sta avendo con noi oppure no?”
Collegata alla prima, la seconda implicazione è connessa alla coerenza tra i due tipi di linguaggio. Se, in una comunicazione, linguaggio verbale e non verbale sono tra loro coerenti, l’attenzione dell’interlocutore potrà concentrarsi più facilmente sul contenuto e sul significato complessivo dell’interazione. Quando invece i due linguaggi tra loro non sono coerenti, o non lo sono completamente, proprio perché il linguaggio non verbale è primordiale e meno controllabile, l’interlocutore sarà più portato a spostare la sua attenzione su di esso e a concentrarsi meno sui significati relativi al contenuto condiviso. Nell’esempio citato “Sei sicuro di stare bene? Hai una faccia…”, qualunque affermazione possa fare il protagonista, l’attenzione dei suoi interlocutori sarà concentrata sull’immagine di malessere trasmessa dalla sua espressione e dai suoi sguardi: dal suo linguaggio non verbale. In questo caso, da una parte l’interlocutore dovrebbe riproporsi le domande citate nella prima implicazione; dall’altra il protagonista a sua volta potrebbe chiedersi: “Che cosa sto comunicando attraverso i due linguaggi che sto utilizzando?”, “che cosa vorrei comunicare?”.
La terza implicazione riguarda la consapevolezza di sé. Come detto precedentemente, la natura primordiale e socialmente appresa del linguaggio non verbale spesso ci porta ad utilizzarlo in maniera automatica e non del tutto consapevole. Prendersi del tempo per rileggere i propri comportamenti non verbali può aiutare ad acquisire maggiore consapevolezza del proprio modo di porsi di fronte alle diverse situazioni e ai differenti interlocutori che si incontrano nei vari contesti. Mettersi in ascolto del proprio non verbale può, inoltre, aiutarci a individuare alcuni segnali premonitori che evidenziano silenziosamente le nostre emozioni e percezioni, ma anche i nostri stati fisici. Ad esempio, a seguito di una trattativa con un cliente conclusasi con un successo, potremmo renderci conto che la nostra postura e il nostro tono di voce nel raccontarlo ci stanno comunicando qualcosa di differente. Le domande che potremmo porci in situazioni di questo tipo potrebbero essere: “che cosa mi sta raccontando il mio non verbale della situazione che ho vissuto?”, “che cosa mi sta raccontando il mio non verbale di me in quella situazione?”.
Infine, l’ultima implicazione riguarda la forte appartenenza sociale e culturale del linguaggio non verbale. Ciascuno di noi cresce e vive in contesti fortemente connotati da elementi influenzati da impronte etniche, culturali, sociali, familiari e relative ai propri gruppi di appartenenza. È indispensabile e necessario tenere in considerazione questi aspetti ed armonizzarli con i significati che attribuiamo al nostro modo di comunicare e a quello dei nostri interlocutori.
Riassumendo, alcuni suggerimenti utili per migliorare le proprie competenze comunicative, allenarsi ad acquisire consapevolezza e gestire positivamente il quarto assioma:
- Fai attenzione alle connotazioni culturali e sociali delle comunicazioni;
- Ascolta il tuo linguaggio non verbale con attenzione, potrebbe raccontarti molto di te, delle situazioni che vivi e di come le percepisci;
- Chiediti quanto sono coerenti i due linguaggi nelle tue comunicazioni;
- Cerca di mantenere sempre il giusto equilibrio tra l’attenzione dedicata al linguaggio verbale e quella dedicata al linguaggio non verbale del tuo interlocutore.
Se hai voglia di raccontarci le tue esperienze con il quarto assioma della comunicazione, scrivile nei commenti oppure a info@cm-consulenza.com, ci faremo carico di trasformarle in un futuro articolo o in una PMQ, affinché la tua storia, che proteggeremo garantendoti la massima riservatezza e tutela della privacy, possa diventare uno strumento utile per tutti.
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A presto!
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