Sono milanese e a Milano l’articolo prima del nome proprio è un “must”. Chi mi conosce ha avuto modo di sperimentare il mio amore per gli acronimi e gli acrostici: mi sono quindi divertito a trovarne uno per la mia vicenda personale di cui vi ho parlato in una precedente PMQ (https://www.cm-consulenza.com/blog/2021/01/22/uno-scivolone-imprevisto/).
Il progetto M.I.P.I.M. (Metti In Piedi Il Marco) è proseguito bene in questi mesi e siamo ormai ai passaggi finali. Il lavoro congiunto di diverse professionalità, sensibilità ed orientamenti, devo dire, è stato di qualità e di valore dal punto di vista sanitario, ma anche pieno di Piccole Magie Quotidiane e ispiratore di alcune riflessioni organizzative che condivido oggi con voi.
In queste ultime settimane l’avanzamento del progetto è stato quasi del tutto affidato alla fisioterapia. “Vedrai quanto dolore proverai!”, “Non lasciarti spaventare dalle urla degli altri!”, “Quando vorrai dire basta, non farlo, soffrirai per il tuo bene!”.
Ho iniziato il mio percorso riabilitativo con queste rassicuranti anticipazioni di alcune persone che conosco: mi chiedevo se fosse necessario dotarmi di striscia di cuoio da mordere e una bottiglia di whiskey di pessima qualità con cui stordirmi, tipo vecchio e selvaggio West. Ho scoperto, invece, quasi subito che sì, il dolore fa parte del gioco, ma che sono altri tipi di infortuni ed interventi che lo generano maggiormente durante la riabilitazione: nel mio caso tutto è stato più che sopportabile. La vera rivelazione è stata che, per uno pigro e sedentario come me, questa esperienza sarebbe stata non solo il recupero di funzionalità e sicurezze “addormentate”, ma anche la sperimentazione di diversi modi di utilizzare muscoli, appunto, “impigriti” e di nuove posture e movimenti. Mi piace quindi definire questa esperienza non solo riabilitazione di qualcosa già noto e consolidato, ma “abilitazione” di nuove possibilità, proprio come dovrebbe essere per un cliente un progetto di consulenza e di affiancamento.
Confrontandomi con la cara amica e collega Cinzia, in particolare in merito al suo articolo https://www.cm-consulenza.com/blog/2021/03/02/clienti-e-consulenti-come-far-funzionare-al-meglio-la-relazione/ , ho riconosciuto questo ed altri possibili parallelismi tra il progetto M.I.P.I.M. e la nostra comune attività.
I primi giorni di fisioterapia sono stati dedicati all’accoglienza e ai primi esercizi “soft”: sono stato messo a mio agio, mi è stato presentato il percorso e cosa avrei fatto insieme al team di professionisti con cui avrei lavorato. Ho scoperto infatti che non mi avrebbe seguito un solo fisioterapista, ma un gruppo di lavoro, ciascuno con degli specifici e definiti spazi di intervento e modalità di azione.
Sono stato, poi, rassicurato dal team sul fatto che sarebbe stato normale il passaggio dalla voglia di fare allo sconforto per le difficoltà, ma che non sarebbe mai mancato il loro affiancamento per correggere posture ed atteggiamenti scorretti ed il loro supporto sia per incentivarmi e stimolarmi, che per frenarmi quando necessario. Una serie di informazioni e precisazioni che ogni consulente presenta, o dovrebbe presentare, sempre quando lavora con un’azienda.
Dopo più di 60 giorni di immobilità quasi totale e disagi conseguenti, non pensavo sarebbe stato così rapido riuscire a fare i primi passi: ma quanta paura! Il fisioterapista mi esortava ad alzarmi, prendere le stampelle e camminare: il suo tono era fortemente autorevole ed esigente, non lasciava spazio ad alcuna esitazione e non si lasciava convincere dai miei dubbi. “Se ti dico alzati e cammina è perché so che puoi e devi farlo, ti fidi di me o no? Altrimenti a cosa serve che tu venga qua?”
Vinte le paure e, con tanta incertezza e fatica (fisica, ma soprattutto mentale, perché stavo lasciando la mia “bolla” di sicurezza, autocommiserazione e autoassoluzione), un passo alla volta, accade: stavo camminando! Dopo un paio di giorni è arrivato il momento dei gradini e ancor più di prima la sensazione di un “salto nel vuoto” si faceva grande e, ai miei occhi, giustificata. Con la stessa decisione e scarso spazio alla negoziazione, vengo avviato a questa successiva fase di progetto.
Dopo questi momenti di passaggio, con la maggiore confidenza acquisita, scherzando con il fisioterapista gli chiedo: “Dimmi la verità, quando mi spingevi a camminare e a fare i gradini, un po’ di timore lo avevi, vero? Avrai pur pensato: e se mi cade? Se si spaventa e si lascia andare, non rischio di perderlo?”
Guardandomi, sorride e confessa: “Certo che sì. Ma gli anni di studio ed esperienza serviranno pure a qualcosa, no? Il mio compito è di spingerti oltre e assumermi la responsabilità di accompagnarti, proteggendoti quanto basta. Un po’ come il tuo lavoro, no? Non dite sempre di voler spingere le persone fuori dalla zona di comfort ed evitare che si autoassolvano e trovino degli alibi?”
Conosceva il mio lavoro: ovviamente come tante professioni, anche la sua è fatta di momenti di formazione e di aggiornamento. Ne avevamo tanto parlato e mi stava “rispecchiando” una parte di quanto gli avevo raccontato.
Assumersi la responsabilità del buon andamento del percorso significa anche “bonifica delle emozioni distruttive” ovvero prendersi carico delle pressioni che si ricevono da chi ci affida il progetto, trasferire al proprio collaboratore le aspettative e le attività, proteggerlo da quanto non è nel suo ruolo ricevere. Se non lo si fa, si rischia di caricare l’altro di un fardello di ansie e di possibili errori o fallimenti che non è necessario che sperimenti, non perché non li possa comprendere, ma perché “inquinerebbero” la sua efficacia. Questa è una delle competenze fondamentali per chi ricopre ruoli di coordinamento e di responsabilità su progetti e team di persone: vale per il manager, vale per il consulente, vale per il fisioterapista.
Giorno dopo giorno il lavoro si è ovviamente intensificato e sono aumentati fatica, piccoli dolori qua e là e tentazioni di “fuggire”, ma anche entusiasmo per i progressi raggiunti e voglia di osare di più e migliorare ancora.
Ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo e i progressi sono stati tanti, così come grande è la convinzione che non dovrò desistere nelle prossime settimane quando proseguirò nel lavoro su di me e sarò autonomo. Avrò un metodo di lavoro e delle regole da rispettare, una ritrovata consapevolezza e nuove possibilità da esplorare e sperimentare, sapendo che lo potrò fare in sicurezza con un beneficio e che tutto questo dipenderà solo da me.
Il buon ricordo che avrò di questo periodo non sarà, quindi, solo sulla bellezza delle persone e sulla piacevolezza dell’esperienza (qualità fondamentali che ho apprezzato tanto), ma soprattutto sul lavoro svolto, sulla fatica fatta e sui risultati ottenuti. Esattamente la traccia che cerco di lasciare ogni giorno nel mio lavoro di consulente.
Mi rimarranno inoltre i sorrisi e i momenti di leggerezza che allentavano la tensione, ma anche le “sgridate” quando mi chiudevo a riccio “facendo i capricci” e i momenti di stop e freno quando “caricavo troppo”. Soprattutto conserverò la grande pazienza, il rispetto per la mia persona, per i disagi che manifestavo e anche per quelli che credevo di avere nascosto, gli sguardi sempre attenti, diffusi e distribuiti da tutti i membri dello staff, non solo da chi quel giorno mi seguiva. “Ma come hai fatto a vedermi, se non eri qui? Ricordati Marco che io ci sono sempre, anche quando non mi vedi!
Queste sono tutte piccole, grandi lezioni di leadership, sono tante Piccole Magie Quotidiane che ho trovato e che porterò con me a lungo.
E tu, quante PMQ hai trovato nella relazione con professionalità da cui forse ti aspettavi solo tecnica e risultati, ma in cui hai, invece, scoperto anche cuore ed emozioni? Momenti che ti hanno permesso di incontrare Piccole Magie Quotidiane e che ti hanno aiutato a migliorarti e a gestire con efficacia attività o difficoltà?
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