Vi è mai capitato di ricevere un incarico o un cambio di mansione (magari migliorativo nel ruolo) e sentire che proprio no, non pensate di essere la persona giusta?
Un’occasione in cui, quasi vent’anni fa, ho personalmente sperimentato questa sensazione è legata all’offerta di guidare un team già consolidato di professionisti della formazione e, nell’immediato futuro, farlo crescere sia in termini numerici (curando la selezione e l’inserimento di nuove risorse) sia in termini di competenze. Per uno come me che fino ad allora aveva svolto solo mansioni operative in ambito commerciale e come formatore interno, non solo si trattava di uno snodo fondamentale di carriera, ma anche di una sfida ambiziosa che temevo di non poter raccogliere con successo.
Alle mie dimostrazioni di timore e dubbio, l’autore della proposta mi provocò chiedendomi: “secondo lei sono così sconsiderato da affidare un ruolo strategico per noi ad un incapace? Non crede che, con la mia esperienza, abbia visto in lei delle potenzialità e delle capacità adeguate?” Certo, vista così, diventava difficile mantenere la mia posizione di difesa: avrei rischiato di spostare l’attenzione non sulla mia modestia, ma sul mancato riconoscimento delle doti di “scouting” del mio capo. Accettai quindi la proposta e, con il suo aiuto e con quello di altri straordinari colleghi, mi avventurai nel complesso, ma intrigante, mondo della managerialità e della leadership.
Nello scenario che ho descritto, alle perplessità e ai timori iniziali, sono seguiti dei momenti di importante crescita che mi hanno consentito di acquisire competenze e accrescere il mio bagaglio di esperienze. Al momento non me ne rendevo conto, ma l’offerta ricevuta è stata una dimostrazione efficace di come un manager possa e debba riconoscere nei propri collaboratori qualità e competenze, nonché offrire loro la possibilità di svilupparle e agirle al meglio. Libero dai timori e dai dubbi di allora, ripenso a quella proposta ricevuta con grande piacere e sono profondamente grato a chi ha contribuito a rinforzare la mia preparazione professionale e la mia realizzazione personale, offrendomi una straordinaria opportunità che, oggi, riconosco come passaggio fondamentale nel mio percorso di carriera.
Al tempo non lo conoscevo, successivamente ho compreso che lo strumento manageriale che ho sperimentato in prima persona grazie al mio responsabile, viene chiamato “Finestra di JoHari”. Si tratta di uno strumento di lettura delle dinamiche di relazione ormai consolidato, creato da due psicologi americani Joseph Luft e Harry Ingham negli anni ’50, ma tutt’ora estremamente potente nella sua semplicità.
Nella relazione tra due persone esistono, secondo la teoria dei due psicologi, delle aree di informazioni e competenze note ad entrambi gli attori della relazione, alcune note solo a uno dei due e, infine, alcune completamente ignote. La loro combinazione è rappresentabile attraverso un quadrato, una finestra appunto, con le quattro aree divise tra loro dalla struttura perpendicolare interna.
Nell’ordine, la prima area, quella aperta, è quella in cui l’informazione che riguarda uno dei due interlocutori è nota ad entrambi e non richiede una sua “rivelazione”, ma al limite una conferma ed è appunto patrimonio comune. Nello scenario che ho descritto, tali informazioni possono essere quelle competenze ed abilità professionali che mi venivano riconosciute e che io stesso ero consapevole di possedere ed agire nel ruolo che già stavo ricoprendo.
La seconda area, denominata area cieca, si riferisce ad un’informazione riguardante uno dei due interlocutori che è però a lui ignota, mentre al contrario è nota all’altro. Tale “impressione” che l’altro ha di noi può essere ad esempio veicolata da alcuni nostri comportamenti, segnali (magari inconsapevoli) o attitudini che emergono dall’osservazione del nostro modo di agire. Questo è proprio lo scenario in cui mi sono trovato: l’informazione (in realtà le attitudini e, in parte, le competenze) mi era ignota, mentre era chiara ed evidente agli occhi del mio superiore. Non conoscevo ancora quanto potessi essere adeguato al ruolo, non avendoci ancora all’epoca pensato, ma evidentemente, alcune mie predisposizioni e capacità emergevano al punto da essere identificate dall’occhio esperto di chi mi stava osservando.
Tale strumento si presta ad essere utilizzato in diversi ambiti e nel tempo se ne sono adattate le potenzialità ai rispettivi contesti (ad esempio anche nella negoziazione): la gestione delle risorse umane e delle loro competenze è quello che personalmente preferisco. Dopo averlo visto, come descritto in precedenza, applicato su di me ed averne sperimentato la potenza, ho deciso di farlo mio e negli anni mi ha aiutato a favorire la crescita di alcuni collaboratori, “stanando” anche alcune ritrosie.
Aspetti a mio giudizio molto interessanti che emergono nell’utilizzo della “Finestra di JoHari” sono quindi la possibilità di conoscere meglio sé stessi, acquisendo consapevolezza attraverso l’altro e di avere, noi per lui, un ruolo di disvelamento di parti di sé che in quel preciso momento ancora non riesce a padroneggiare.
Lo strumento ci spinge a lavorare sull’ascolto e sulla ricerca di segnali ed indizi che, a volte all’insaputa dell’altro, possono fornirci un quadro più ampio della persona e confermare le sensazioni positive che di lui abbiamo (e di adeguatezza, come nel mio esempio) o magari quelle meno positive e migliorabili. Ovviamente la cautela è doverosa: scivolare nel pregiudizio o piegare al proprio interesse tali evidenze è un rischio che va considerato e gestito.
Ogni volta che aiutiamo l’altra persona ad aumentare la consapevolezza di sé, delle proprie qualità e talenti diamo un contributo importante alla sua crescita personale e professionale ed anche all’organizzazione, che potrà contare su risorse sempre più eccellenti.
È proprio quello che è successo a me: se oggi sono la persona ed il professionista che riesce, malgrado le imperfezioni, a farsi apprezzare per le sue qualità, lo devo anche a quell’attestato di fiducia ricevuto: un momento di gratificazione professionale che ai miei occhi è una Piccola Magia, che diventa quotidiana nel ricordo piacevole di averla ricevuta e nella gratitudine verso chi me ne ha fatto dono.
Come indicato in precedenza, esistono altre due aree della “Finestra di JoHari”: quella denominata ignota e quella nascosta: di questo vorrei parlarvi nel mio prossimo contributo, collegando il tema ad un altro passaggio importante della mia vita professionale.
E tu, quante PMQ hai trovato nella gestione della relazione professionale con un tuo superiore da cui hai ricevuto un incoraggiamento o una spinta alla tua crescita professionale ed alla scoperta di abilità e competenze che magari non pensavi di avere? Momenti che ti hanno permesso di incontrare Piccole Magie Quotidiane che ricordi a distanza di tempo con piacere e gratitudine?
Raccontaci la tua esperienza, scrivila nei commenti o a info@cm-consulenza.com, ci faremo carico di trasformarla in una PMQ, affinché la tua storia, che proteggeremo garantendoti la massima riservatezza e tutela della privacy, possa diventare uno strumento utile per tutti.
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