Ho deciso: cambio lavoro!

Tra talento, passione e voglia di esserci

In quest’ultimo mese ho avuto modo di confrontarmi con quattro persone che mi hanno chiesto consiglio e supporto per una scelta importante: cambiare lavoro. Operando da anni nei contesti organizzativi e vivendo il mondo delle risorse umane attraverso le mie attività di consulenza, formazione e counseling, forse non dovrei essere così stupita. È possibile che ciò che mi ha colpito sia la statistica: incontrare quattro persone in un solo mese. Ma non penso sia solo questo.

All’inizio le motivazioni che hanno spinto queste persone a prendere questa decisione mi sono sembrate molteplici e molto differenti tra loro. “Il mio lavoro attuale è troppo lontano da casa e per questo non riesco a dedicare tempo a me stesso”, “mi piacerebbe guadagnare di più e penso che me lo meriterei”, “è sempre la stessa routine: le stesse cose da fare, le stesse facce, le stesse problematiche che non cambiano mai”, “mi sembra che gli obiettivi che l’azienda si pone e le modalità attraverso le quali li vuole raggiungere, non siano più in sintonia con il mio modo di vedere il mio lavoro”.

Approfondendo un po’ di più le diverse situazioni attraverso alcune domande, mi sono resa conto che, nonostante le differenze, possedevano molti punti in comune su cui credo sia importante riflettere. 

  • I quattro lavoratori che hanno preso questa decisione sono professionisti di talento;
  • Hanno diversi anni di esperienza alle spalle, spesso anche più o meno duratura in diverse realtà aziendali;
  • Sono appassionate e amano il proprio lavoro;
  • Hanno voglia di crescere, ma la loro voglia di crescere si è scontrata con realtà organizzative dalla forte staticità a diversi livelli;
  • Non sentono riconosciute le proprie competenze, tra cui la proattività;
  • Non si sentono coinvolti verso un obiettivo comune, né ascoltati.

Ovviamente non sta a me giudicare o quantificare la perdita che queste aziende avranno a fronte della loro decisione, questo bilancio dovrebbe essere fatto a posteriori e sul medio periodo. Mi chiedo, però, se all’interno di questi quattro contesti organizzativi c’è qualcuno che ha percepito il malessere di queste persone, le loro fatiche, i segnali espliciti o impliciti che raccontavano di queste difficoltà tanto grandi da portarli ad una scelta così di rilievo. Mi chiedo se qualcuno se lo aspettava o è stata una sorpresa. E se questo senso di malessere è una situazione unica o se all’interno di queste aziende ci sono altri lavoratori che lo stanno vivendo, ma magari non gli hanno ancora saputo dare un nome o per varie motivazioni lo accettano o ancora non sono arrivati a prendere questa decisione. Mi chiedo se qualcuno si è fermato e si è messo in ascolto.

Tra visionmission, obiettivi, processi, operatività e produttività, le aziende sono costituite essenzialmente da persone: un capitale umano di inestimabile valore, ma che talvolta non emerge come il principale punto di forza di un’organizzazione. Parlare di benessere organizzativo e di qualità della vita al lavoro, significa parlare di persone, mettere i lavoratori al centro. Significa parlare di relazioni tra le persone, non solo tra le funzioni e i ruoli. Significa cambiare punto di vista ed iniziare ad esplorare il mondo delle differenze individuali, delle esigenze, dei bisogni, delle fragilità, delle richieste di sviluppo e di crescita. Significa accogliere e dare valore alla passione, alla motivazione e al talento.

La letteratura in ambito organizzativo ne parla già da tanti anni, ma noi siamo pronti a diventare attori protagonisti di questo cambiamento e a stimolarlo nelle organizzazioni di cui facciamo parte?

2 risposte

  1. A volte ci si sente intrappolati in una stanza stretta e buia dove trovare la chiave per uscire sembra a volte impossibile, quando cambiai lavoro circa 4 anni fa mi sembrava di aver voltato pagina, invece mi ritrovo rinchiuso in stanza ancora più piccola della precedente, e fatoco a trovare la chiave per uscirne, sarà il periodo Covid, sarà che forse c’è l’insicurezza di cambiare dovuta a molti fattori… Mi piacerebbe essere attore principale del cambiamento, sentirmi realizzato e considerato dell’azienda per la quale lavori… Nel frattempo continuiamo a cercare la chiave che porta alla soluzione.

    1. Grazie Lorenzo per il tuo commento, carico di emozioni.

      Cambiare lavoro non è mai una scelta semplice, non solo per la difficoltà nell’analisi pro e contro di ciò che si sta lasciando, ma anche per l’incognita e, se vuoi, la curiosità rispetto a ciò che si troverà. La tua esperienza lo dimostra.
      Credo che questo periodo di emergenza, caratterizzato da nuovi contesti, incertezza e cambiamento abbia contribuito a far riflettere molte persone rispetto alla propria quotidianità, non solo professionale, alle proprie priorità e ai propri valori. Come se ci stessimo riscoprendo nelle nostre realtà con occhi nuovi.
      Chiederci cosa ci genera quella sensazione di malessere e di fatica, se attraverso le nostre azioni (o non azioni) stiamo agendo al fine di mantenerla e, infine, cosa possiamo fare, per la nostra parte e attraverso i nostri comportamenti, per contribuire a modificare la situazione che stiamo vivendo, può permetterci di vedere nuovi spazi di azione e nuove possibilità dentro e fuori dai nostri contesti. E non è detto che poi le scelte che potremmo fare ci portino lontano da dove siamo ora.
      È un lavoro di analisi dei contesti e delle relazioni e di riflessione che richiede tempo, motivazione e risorse da mettere in campo. Un lavoro su di noi che non può non tenere in considerazione anche il sistema di cui facciamo parte.

      Se e quando dovessi sentirne il bisogno, non esitare a contattarmi.
      Nel frattempo ti auguro un grosso in bocca al lupo e… Buona riflessione!
      Cinzia

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