Alzi la mano chi di noi non ha mai vissuto momenti di fatica, difficoltà, sofferenza emotiva o relazionale, conflitti o altre problematiche che hanno originato il pensiero di affidarsi ad un professionista!
Sì, ma a quale professionista rivolgersi?
Capita spesso che in queste situazioni si decida di ascoltare il consiglio di chi ci ha raccontato di aver avuto un’esperienza positiva con quel tal professionista. Capita, altrettanto spesso, per mancanza di informazioni o basandosi esclusivamente sulla fiducia nel passaparola, che ci si affidi qualcuno che non corrisponde alle proprie aspettative.
Non si tratta tanto di definire quale possa essere il professionista “giusto” o “sbagliato” (un buon professionista conosce i propri ambiti di intervento e confini, sa quando è il momento di passare la palla), quanto di scegliere con consapevolezza a chi volersi affidare per approcciare la situazione che si sta vivendo. Le cosiddette “professioni di aiuto” sono diverse ed ognuna possiede caratteristiche proprie: dalla formazione, alle modalità fino agli ambiti di intervento. Prima di provare a descrivere sinteticamente alcune di queste professioni, è importante sottolineare quanto la collaborazione e la sinergia tra queste figure possano essere un inestimabile valore aggiunto al fine di migliorare la qualità della vita di chi a loro si affida e mettere a punto un intervento quanto più proficuo ed efficace possibile.
Il counselor possiede una laurea o un percorso equipollente in ambito relazionale, sociale o educativo ed ha frequentato una scuola di counseling triennale. Si occupa di supportare il cliente nella risoluzione di problemi specifici o condizioni di difficoltà temporanea, in un’ottica preventiva orientata al futuro. L’obiettivo è migliorare nel cliente la consapevolezza di sé, al fine di sviluppare capacità di analisi, potenziare le risorse e le possibilità per affrontare la situazione e promuovere autonomia ed efficacia nelle scelte, mantenendo sempre il focus sulla ricerca di soluzioni nel “qui ed ora“. Il counselor può lavorare in vari ambiti: privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale. Il counseling non è una forma di terapia (medica o psicologica) né di sostegno psicologico.
Lo psicologo possiede una laurea in Psicologia e, a seguito dell’esame di Stato, l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi Regionale. Studia i processi mentali, i comportamenti e le relazioni che ne derivano. Generalmente si occupa di sostegno, prevenzione, diagnosi, riabilitazione, sperimentazione o ricerca, attraverso l’utilizzo di tecniche, strumenti e test psicologici. Lo psicologo opera al fine di conoscere, migliorare e tutelare il benessere psicologico e la salute di persone, famiglie, comunità, organizzazioni sociali e lavorative.
Lo psicoterapeuta è laureato in Psicologia oppure in Medicina e successivamente ha frequentato una Scuola di specializzazione in psicoterapia. Con il paziente egli intraprende un percorso terapeutico per la risoluzione di disagi e problematiche psicologiche. L’intervento dello psicoterapeuta ha come obiettivo la modificazione o il cambiamento di comportamenti “disfunzionali”, che sono alla base di uno stato di tensione, di disagio, di malessere. L’intervento terapeutico può abbracciare tutti gli ambiti della vita del cliente.
Da queste descrizioni appaiono evidenti le differenze, ma anche alcuni punti in comune su cui riflettere. L’obiettivo che questi professionisti perseguono attraverso i loro interventi, occupandosi di persone e di relazioni, è il miglioramento della qualità della vita: chi mantenendo un focus sull’incremento dei livelli di benessere del cliente (il counselor); chi puntando anche sulla diagnosi, la riabilitazione e la salute del paziente (lo psicologo e lo psicoterapeuta, essendo professionisti sanitari facenti capo al Ministero della Salute).
È allora possibile che questi professionisti collaborino tra loro sinergicamente valorizzando i loro punti comuni, ma soprattutto le loro specifiche peculiarità?
La risposta è affermativa ed auspicabile. Le testimonianze che seguiranno ne sono una piccola dimostrazione.
Dott.ssa Anna Consiglio, psicologa, psicoterapeuta, counselor e mediatrice. Membro del corpo docente della Scuola di Counseling Sistemico Pluralista di Bergamo e dell’équipe clinica.
La mia relazione d’aiuto
“Da anni lavoro come psicoterapeuta con un forte sguardo alla ricchezza dell’interdisciplinarietà. In essa abitano dialogo, incontro e scambio che grazie a un linguaggio comune consentono il confronto di punti di vista, co-costruzione di pensieri e un arricchimento qualitativo fra discipline e professioni diverse. Dentro questa cornice ho nutrito anche le mie stesse competenze, ho lavorato sui miei pregiudizi, dibattuto su contenuti, metodologie e aspetti teorici e piano piano trovato un abito su misura che mi consente di intrecciarmi come un “fil rouge” con professionisti della relazione d’aiuto per progettare e attuare percorsi e interventi nell’ottica del benessere emotivo, psicologico e di vita delle persone e della comunità. Lavoro con un modello pluralista di intervento incontrando psicologi, counselor, mediatori, educatori, avvocati, medici etc. consapevole dei confini reciproci e dei ruoli ben definiti di ognuno. Amo rappresentare il tutto come un campo sportivo interdisciplinare nel quale proprio le diverse linee presenti consentono la pratica delle diverse discipline. Questa la risorsa: giocare su uno stesso campo, ma ognuno nei suoi ruoli e nelle proprie competenze con un buon coordinamento e responsabilità decisionale che consenta d’interagire sinergicamente lasciando che il cliente sia il protagonista e l’esperto di se stesso. Egli può scegliere come avvicinarsi alla relazione d’aiuto e con quale figura professionale. Fondamentale è la buona preparazione del professionista che, accolto il cliente e valutata la situazione, saprà accompagnarlo anche altrove, con un buon invio e un buon lavoro interdisciplinare senza sentirsi sminuito, ma certo del prezioso lavoro di relazione d’aiuto messo in campo.”
Dott.ssa Maria Teresa Heredia, Counselor, Supervisor e Formatrice, socia fondatrice del Centro Isadora Duncan e membro del corpo docente della relativa Scuola di Counseling Sistemico Relazionale.
Esercitazioni di ascolto dissonante e viaggi sconfinati verso la pluralità
“Da counselor, lavorare in équipe è vivere un quotidiano “elogio alla differenza” alla ricerca costante delle “strutture che connettono”. Nell’esercizio della mia professione, lavorare costruendo contesti professionali di dialogo e di apprendimento, come quello che diviene ogni anno il Centro Isadora Duncan, è un grande privilegio. Consente a tutte e tutti noi di rendere tangibile ciò che maestri come Gregory Bateson, Heinz Von Foerster e Gianfranco Cecchin, tra tanti altri, hanno impresso nella mia/nostra formazione, nel rispetto delle differenze e delle specificità dei nostri approcci. Non temere le diversità, ma renderle fonte di arricchimento costante e reciproco. Materiale malleabile che concede trans-disciplinarietà e alimenta la capacità di spostare lo sguardo da un’etica della ricerca della verità ad un’etica delle connessioni. Viaggiare attraversando mondi, letture, narrazioni, approcci e abilità, è stata la costante del convivere e condividere con psicologi, psicoterapeuti, neurologi, artisti, registi, ostetriche, filosofi e pedagogisti. Esercitare la “sospensione del giudizio” e superare i “pregiudizi” aprioristici che tendono a regnare tra le professioni, consente un quotidiano lavoro di sconfinamento tra regni che altrimenti rischiano di rimanere a sé stanti e lontani dalle persone che a noi si rivolgono. Varcare le frontiere per esplorare universi ove, grazie alla “curiosità” e a volte persino alla “irriverenza”, diventa fattibile e concreto abitare spazi e offrire alle persone e ai sistemi interventi che includano il valore aggiunto della pluralità. Un viaggio “verso un’ecologia delle idee”, ove teoresi, poiesi e prassi si integrano in una danza che permette di tenere insieme ciò che insieme non tutti hanno la fortuna di concedersi di far stare. Una complessità bizzarra, non sempre facile, che favorisce la spinta alla ricerca di posizionamenti nuovi e tali per cui la “differenza possa fare la differenza”, la “curiosità” abiti le analisi e gli interventi e i “pattern che connettono” consentano la co-costruzione di narrazioni, metafore, immagini e azioni metodologiche che nascono dall’arte dell’integrazione di ciò che sta tra le “cornici”.”
Queste due testimonianze confermano che la collaborazione sinergica e reciprocamente riconosciuta tra le “professioni di aiuto”, nonostante e attraverso le loro differenze, non solo può essere immaginata come futuro possibile, ma in alcuni contesti si è già concretizzata in una pratica virtuosa. La sfida che ciascuno di noi può raccogliere consiste nella trasferibilità di queste buone prassi nei propri contesti di riferimento, pensando alle specifiche peculiarità e ai necessari adattamenti.